AnedDodo

Un momento da Napoli ad Amsterdam

Uno scatto rubato, mosso, figlio dell’andatura. Il gruppo avanzava e, senza accorgermene, l’ho scattata di fretta. La foto risale al weekend scorso. L’ho fatta ad Amsterdam, mentre camminavamo per recarci a vedere l’A’DAM Lookout, il grattacielo da cui si può ammirare tutta la città. Una vista fantastica.

Durante il tragitto, intenti a passare da una fermata del tram all’altra, ho beccato questo scorcio. Nessuno del gruppo di amici e conoscenti con cui ero in viaggio ci aveva fatto caso. Niente di speciale per i più. Non per me. Perché quello spiazzo aveva un che di familiare. Mi attirava. Sentivo di doverlo immortalare.

I contorni sfocati, come se i soggetti si muovessero; ed in effetti, nella mia testa, e come se lo facessero davvero. Una foto dinamica, come se subisse un momento…ehm, forse l’esame di Scienza delle Costruzioni mi sta dando alla testa. A pensarci bene, ambedue le accezioni di ‘momento’ -quella comune e quella che chi ha studiato materie come meccanica e affini può dare- ci azzeccano comunque. Perché ai miei occhi il soggetto si muoveva, come se subisse un momento meccanico; e -affidandoci al significato classico della parola ‘momento’- la vedevo come una sequenza di attimi. Un’istantanea figlia del tempo, come se potessi assistere a tutto ciò che era accaduto in quel luogo da diversi anni a questa parte.

Non potevo saperlo, ovviamente. Non avevo la macchina del tempo per poter conoscere i segreti che quella piazzetta poteva raccontare. Credo che sarà capitato a chiunque almeno una volta nella vita. Guardare un posto nuovo ed immaginare le mille possibili vite che possono farne parte. “Un altro istante nel tempo 
per vivere tutte le vite possibili”, come canta Mario Venuti.  

Viaggiare ti porta a questo. Uscire completamente dalla tua comfort zone, lontano dal tuo contesto, dalle costruzioni che sei abituato a vedere, dai quartieri e dalle strade che scandiscono la tua vita, ti proietta in un contesto completamente avulso dalla tua realtà abituale. Stimola l’immaginazione. Almeno al sottoscritto; un ragazzo della provincia di Napoli che si reca ad Amsterdam per la prima volta.

A molti quello spiazzo non avrebbe detto nulla. Invece su di me ha avuto un potere ipnotico. Una sorta di magnetismo che faccio fatica a spiegare. Probabilmente, anzi, sicuramente ci ho visto qualcosa di vissuto, come accade spesso nelle cose che ci emozionano, che siano esse un dipinto, una canzone od una serie TV.

Mi sono fermato per un attimo. Ho scattato la foto ed ho dedicato alla scena uno sguardo di qualche secondo, prima di voltarmi ed accelerare il passo nel tentativo di non perdere il gruppo.

La contemplazione di quello scenario come il caffè del Bar del Professore. Stretto. Breve, ma intenso. Dolce, ma con quel retrogusto amaro che dà soddisfazione. In un amen ho immaginato coloro che potevano abitarci; le loro vite, le loro storie. Ed ho immaginato soprattutto i bambini, quali eravamo noi un tempo, che andavano in bicicletta e giocavano a pallone, magari sotto la pioggia. Riesco quasi a vederli, in un grigio pomeriggio di novembre, con i pantaloni lunghi della tuta, qualcuno con la maglia di Kluivert di quando era all’Ajax, qualcun altro con una vecchia divisa Orange sbiadita, cimelio tramandato di padre in figlio. Sentivo che ce n’erano stati di pomeriggi così. Tanti, sia d’estate che di inverno. O forse stavo solo sentendo ciò che la mia anima mi suggeriva, offuscato da quelli che erano ricordi veri, di quando eravamo noi a giocare a pallone sotto la pioggia in un parco che non si trova nei Paesi Bassi ma molti chilometri più a Sud. Di ‘bassi’ c’eravamo solo noi, piccoli bambini che non conoscevano le difficoltà di trovarsi un lavoro e costruirsi una vita; ed i Paesi beh, erano quelli vesuviani. Anzi, sono quelli vesuviani. Ed anche il parco dove giocavamo c’è ancora; ciò che manca è il tempo e la spensieratezza di lasciarsi andare ad un pomeriggio di solo pallone, di ginocchia sbucciate e calci negli stinchi, quando l’unica preoccupazione era sperare che il proprietario del pallone di cuoio fosse in casa, altrimenti bisognava arrangiarsi alla meglio;  a volte un Super Santos bucato era il meglio che riuscivi a trovare. Piccolo, sgonfio, rigorosamente arancione, un colore caro alla Terra che invece, senza volerlo, mi stava portando indietro nel tempo, in un viaggio ideale che andava da Amsterdam fino a Sant’Anastasia, provincia di Napoli.

“Oh, non rimanere indietro che ci perdiamo”. Enzo mi aveva chiamato, svegliandomi da quel sogno. Raggiunsi il gruppo con passo affannoso, ripensando al film che scorreva nella mia testa. E sì, lo so cosa starà pensando qualcuno di voi. E sì, è vero che una manciata di minuti prima avevo fumato la prima canna della mia vita, ma giusto qualche tiro; e per giunta dell’erba più leggera che si potesse comprare. Stavo benissimo. Quella piccola trasgressione non c’entrava niente.

Tutto ciò era solo figlio della mia immaginazione. Di un momento. Breve, ma intenso. Anche se in Olanda, il caffè -come direbbero dalle mie parti-, non sanno nemmeno dove sta di casa.

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