Qualche giorno fa, Ottavio Bianchi, allenatore del primo scudetto napoletano, ha raccontato ai microfoni di Kiss Kiss Napoli che, ai suoi tempi, i giocatori si alternavano ma non si usava la parola “turnover”. Curiosamente, la prima volta che ho sentito quella parola, essa veniva accostata alla gestione di Carlo Ancelotti negli anni rossoneri.
Il Napoli, nel giro di poche stagioni, è passato da un estremo all’altro. Dalla staticità Sarriana (ovviamente solo in riferimento al turnover, non certo per i movimenti in campo) al dinamismo Ancelottiano. Riposi e rotazioni che dalle parti del Vesuvio si erano visti già nella scorsa stagione, facendo storcere il naso all’ambiente in alcune occasioni.
Niente a che vedere con la stretta attualità. Ieri pomeriggio la compagine azzurra ha vinto in trasferta per 1-4 sul campo del Lecce. Una partita che nascondeva delle insidie, specialmente dopo la sbornia post Liverpool, tanto da richiedere un tweet del Presidente per tenere alta l’attenzione. Attenzione che non aveva abbassato Carletto, le cui idee erano ben chiare così come il disegno della formazione da schierare. Tra l’impegno casalingo di CL contro il Liverpool e la sfida di campionato del Via del Mare, Ancelotti ha cambiato ben otto undicesimi.
Uno schieramento del tutto inedito che, prima del fischio d’inizio, aveva fatto discutere non poco i tifosi, specialmente per la strana coppia Milik-Llorente. L’artiglieria pesante. Una scelta che ha stupito, vista la notevole quantità di “sottopunta” a disposizione (Mertens, Lozano, lo stesso Fabian) che per caratteristiche – a detta dei più – sembravano sposarsi meglio. In realtà, come spiegato anche dallo stesso Ancelotti dopo il 90’, Milik ha giocato innumerevoli volte in quella posizione in Nazionale, alle spalle del totem Lewandowski.
L’attacco nove-novantanove (no, non è il prezzo di un inserto da acquistare in edicola, ma solo i numeri di maglia del duo offensivo) ha prodotto i suoi frutti: primi passi graduali per Milik che cerca di recuperare la migliore condizione dopo l’infortunio e la doppietta di Llorente, calatosi alla perfezione nei meccanismi di squadra. Impatto devastante per lo spagnolo con tre goal ed un assist in due partite e mezza. Una pedina che mancava da tempo, un attaccante con tanta concretezza e pochi fronzoli da poter alternare (o a questo punto affiancare) allo stesso Milik.
Oltre alle rotazioni consistenti, la novità della domenica azzurra è offerta dall’inusuale fisicità del pacchetto offensivo. I due punteri hanno garantito grande presenza in area di rigore ed il conseguente utilizzo dei rifornimenti dalle fasce, in contrapposizione all’atavica siccità in termini di gioco aereo; negli ultimi anni si è prediletto il gioco palla a terra vista la costante presenza dei terribili “piccoletti”, al secolo ribattezzati “Banda Bassotti”.
È qui nascono le peculiarità del nuovo corso. Un ventaglio di soluzioni inesplorate, un bagaglio di possibilità a cui attingere data la duttilità della rosa e la visione tattico dell’allenatore. Starà al mago Ancelotti infatti, mescolare le pozioni in modo da trovare sempre la soluzione giusta. Parafrasando un altro ex tecnico azzurro, fondamentale per la storia recente del club, il turnover è necessario: “Non voglio nuotare per morire sulla spiaggia”. Parole e musica di Rafa Benitez (adesso ricongiuntosi in terra cinese con Hamsik, tanto per rimanere in tema di Mare…k) secondo cui le rotazioni erano fondamentali per non esaurire velocemente le energie della rosa. Che ben venga la distribuzione del minutaggio, a patto che non si perda la resa sul campo di gioco. Che sia BB o 9-99, 4-4-2 o 4-2-3-1, poco importa.
Finora il Napoli di Carletto è riuscito a trovare sempre la quadra giusta. Tessere di un puzzle da comporre che si incastrano alla perfezione nonostante si cambino di ordine. Alla fine generano costantemente una figura diversa. Sempre bella da vedere.