Roma, 26 Agosto 2017.
“Chi gioca oggi pomeriggio?”
“La Juventus contro il Genoa”
“Fuori casa?”
“Sì sì. Ma che sta facendo?”
“Ora vediamo…wow! Perde 2-0. Autogoal di Pjanic e rigore di Galabinov”.
Galabinov…questo nome non mi è nuovo.
Bucarest, primavera 2014, tre anni prima.
Terra diversa, solite abitudini. Il collante è sempre lo stesso: il pallone. Nonostante il mio soggiorno duri solo qualche giorno, ricevo un invito da parte di amici di amici per giocare a calcetto. Probabilità di declinare l’invito? Zero sotto zero. Meno male che in valigia c’è sempre la maglia del Napoli da viaggio. Cos’è? È una divisa azzurra che porto sempre quando vado all’estero, una sorta di portafortuna. E meno male.
Arrivo al campo, saluto tutti. Un campo di calcetto situato in un parco pieno di verde, cosa che da noi si vede di rado. Anzi, praticamente mai. Sto vicino alle persone che conosco ma, come da copione, utilizzo il pallone per socializzare. Il metodo migliore per avvicinarsi a qualcuno, sempre. Facciamo le squadre, ci posizioniamo e mi presento ai miei compagni di squadra occasionali. Conosco solo una faccia, le altre sono tutte nuove.
“Piacere, Alberto”. Mi colpisce perché ha la maglia della Roma. Chissà, avrà anche lui la sua maglia da viaggio. Cominciamo a giocare e mi rendo subito conto di due cose: la prima, che Alberto ha un accento campano, cosa che mi stupisce visto la maglia che indossa; la seconda che, fin da subito, c’è una certa intesa in campo, malgrado sia la prima volta che giochiamo insieme. A volte succede. Chi ha fatto anche una sola partita di calcetto in vita sua sa di cosa sto parlando. La magia del pallone. La sfera magica che unisce in un battibaleno anche chi non si conosce.
Triangolazioni, trame, reti. La mia squadra -perdonate il francesismo- fa il culo all’altra. Quando la formazione è ben assortita, basta poco per trovare le alchimie giuste. C’è intesa fra tutti, in particolare tra me e il ragazzo con la maglia giallorossa. Sembra quasi la puntata di Holly & Benji quando Holly incontra Tom Becker. Dopo circa 40 minuti facciamo una pausa. Ci fermiamo a bordo campo a bere la solita bevanda energetica colorata–senza fare pubblicità- tentando di rifocillarci prima dell’ultimo sforzo.
“Mi togli una curiosità. Di dove sei? Hai la maglia della Roma, ma il tuo accento mi sembra campano”
“Infatti. Sono di Avellino…ma tifo Roma”
“Come mai?”
“Perché mio padre era della Roma”
Ho capito. In quel momento l’ho capito. Quel ragazzo era come me. Doveva avere avuto una storia simile alla mia, glielo leggevo negli occhi. Sembrava di guardarmi allo specchio. Un sognatore col pallone tra i piedi.
Torniamo a giocare, ricominciamo a segnare. Dopo un mio goal mi guarda e mi dice ridendo “sembravi Galabinov!”. La mia prima stagione da conduttore radiofonico mi aveva obbligato a seguire le squadre campane in Serie B e Lega Pro, ampliando le mie conoscenze calcistiche. Era per questo che conoscevo il calciatore in questione, altrimenti avrei fatto spallucce.
Ecco dove avevo sentito quel nome.
Dopo quella partita non l’ho più rivisto. Ma non so per quale motivo mi piace pensare che, sabato pomeriggio, anche Alberto abbia letto nel tabellino di Genoa-Juve il nome di quel calciatore bulgaro girovago che nel 2013-14 indossava la maglia dei Lupi ed abbia ripensato a quella partita.
La partita in cui mi guardai allo specchio. E facemmo il culo agli altri.