Estate di vent’anni fa, mese più, mese meno. Primi di luglio. È il ’98. Ho solo otto anni e, senza saperlo, sto per vivere la prima estate che segnerà una parte importante della mia vita. Il primo Mondiale della mia vita vissuto con coscienza e consapevolezza. Il primo, in cui si manifestò uno degli amori più profondi della mia vita, che mi accompagna ancora oggi, anche se in maniera diversa: l’amore per l’azzurro della Nazionale.
Il 3 luglio del ’98, senza saperlo, sarebbe entrato nell’immaginario collettivo della mia vita come la prima cartolina estiva di una lunga serie. È un pomeriggio estivo di quelli classici, con il caldo e la luce del sole a farla da padrone. Il mio condominio si ferma: oggi l’Italia si gioca il quarto di finale contro i padroni di casa della Francia. Sempre loro. I Galletti transalpini. E il mio parco si paralizza. Come da quell’estate a quella parte –probabilmente lo facevano già, ma non lo ricordavo- tutti gli abitanti del parco guardano la partita insieme. Solo per questa partita però, dato il sole e l’orario pomeridiano, la TV viene posta in una posizione strategica: sotto l’albero di magnolia, copertura inconsapevole di un pomeriggio unico. Il nostro personalissimo stadio, fatto di erba e sedie di plastica. Una location fantastica. Trenta e passa persone incollate alla TV per guardare la partita, tutte sotto lo stesso vessillo, con la magia che solo le estati mondiali riescono a trasmettere. E, quell’atmosfera, per un bambino che la respira per la prima volta, è un qualcosa che ammalia, un’aria particolare che cambia la vita e che ti segnerà, inevitabilmente, anche per le estati a venire.
Di quel giorno ricordo tante cose. La pelata di Barthez, quella di Di Biagio, l’ingresso in campo di Baggio al posto di Del Piero, e poi quel “tanto così”, quel maledetto gesto di Roberto Baggio che calciò fuori il pallone della possibile qualificazione. “L’ha colpita troppo bene, troppo pulita”, dicevano; ricordo ancora i commenti degli inquilini delle villette di fronte alla mia come se fosse ieri, come se vent’anni di estati e di partite non avessero scalfito i ricordi. E poi quella dannata serie di rigori. Non sapevamo che ci sarebbero voluti otto anni per cancellarla.
Di Biagio parte, calcia forte, spacca la traversa e la sfera va oltre. Una testa pelata esulta ma non è la sua, è Barthez. Quella di Gigi non si vede perché è coperta dalle mani. Andiamo a casa. La prima delusione azzurra della mia vita. Poi un pallone, buttato così, nella piazzetta del parco. Di solito è vietato giocarci, ma ci sono anche i grandi che giocano quindi ci è concesso. E allora me ne dimentico in parte, distratto dalla gioia di rincorrerlo, quel pallone. Quattro anni dopo, nel 2002, avrei fatto ancora più fatica a dimenticare quell’amarezza. E quattro anni più tardi, nel 2006…beh, me la sarei dimenticata comunque.