Domenica sera. Di quelle classiche, di riposo, con quel velo di tristezza che cala il sipario sul weekend. Domani è lunedì, dovrò alzarmi presto per studiare. Ormai rendo solo se comincio di primo mattino, altrimenti nisba; comincio tardi, mi imballo, ed in men che non si che dica la mattinata scivola via più veloce di un fine settimana che aspettavi come il Santo Graal ma che ti ha dato meno di quel che speravi.
Non ho sonno. È quasi mezzanotte. A ‘sto punto aspetto l’inizio di Cleveland Cavaliers-Atlanta Hawks. Magari guardo solo il primo quarto, e poi nanna. Dopo alcuni anni di inattività infatti, ho ricominciato a seguire l’NBA; dagli scontri Spurs-Heat delle Finals 2013 e 2014, fino a quelle del 2015, stagione dalla quale ho iniziato a seguirla assiduamente. Dalla faida tra Golden State Warriors e i Cavs del Re è diventata una droga; non ho potuto farne a meno. Il ritorno di LeBron James a Cleveland, probabilmente per la mia familiarità con le storie di sport -e non solo- che riguardano appartenenza e veterani, è stato l’evento che mi ha (ri)trascinato nel vortice della NBA e della pallacanestro (anche italiana). Dopo averla seguita da adolescente -di riflesso, per la passione di mio fratello e del mio miglior amico- ed averla anche praticata per un anno e mezzo. Con risultati…modesti, per usare un pallido eufemismo. “Bene, ma non benissimo” direbbe uno che ne capisce davvero.
Inizia la partita. La guardo con lo stesso entusiasmo di Fantozzi per la corazzata Kotiomkin. Non che qualcuno mi costringa, in realtà sento solo che manca qualcosa. Qualcosa di importante. I Cavs giocano bene, sembrano dominare la gara. 24-10 per Cleveland, non male. Poi però si sveglia il rookie di Atlanta. Dicono che sia forte. Avevo chiesto proprio qualche giorno fa ad un amico competente, perchè gli Hawks avevano scambiato Young con Doncic, e lui mi aveva spiegato che erano giocatori diversi e che ogni franchigia aveva fatto una scelta in base alle proprie esigenze, ammonendomi anche su Trae Young. “Questo è forte, forte”. Mi rendo conto che il mio amico ne capisce davvero. Young comincia a segnare triple come se piovesse. Sembra Curry, e visto che l’ago della bilancia della mia bilancia personale penda -come nelle ultime stagioni- verso Cleveland, vi lascio immaginare quanto ne sia felice. È praticamente immarcabile. All’intervallo è 64-60 per gli ospiti. Le Aquile comandano. E la mia scelta di guardare la partita invece di dormire non sta pagando. Ma il sonno non arriva, quindi continuo a guardarla per inerzia. Ed è la prima volta che mi faccio ‘LA’ (un articolo a caso…) domanda.
La partita prosegue, il sonno latita, così come le giocate difensive dei Cavs (anche se, sulla mancanza di esse, mi ero già abituato da tempo). Continuo a farmi LA maledetta domanda. Young macina triple e giocate con una personalità da veterano e si divora il dirimpettaio Sexton nello scontro tra rookie. Ero curioso di vedere il numero 2 dei Cavs in azione (il ‘2’ dei Cavs, anche qui mi sa che ‘Qualcosa è cambiato’ parafrasando uno che segue sempre le partite di quelli LA…), ma stasera ha meno voglia di me. Love litiga col canestro, mentre Hood e Clarkson in particolare salgono in cattedra. Li vedo giocare meglio rispetto allo scorso anno, come se si fossero tolti un peso di dosso. Già, chiamiamolo peso. Per loro era un peso, mentre io continuo a farmi LA stessa domanda, per la terza volta. Intanto Atlanta dilaga con i suoi ragazzini terribili guidati da Young, Huerter e Spellman, di cui Marco Crespi aveva già tessuto le lodi in precedenza nel corso della telecronaca. E poi c’è Bazemore, l’unico che conoscevo e mi piaceva già prima.
È notte fonda, domani mi alzerò tardi per studiare, già lo so. Ed io che mi faccio per la quarta volta LA stessa domanda. L’atmosfera malinconica è la stessa di “Una domenica notte” di Brunori SAS (non la conoscete? Vi consiglio di rimediare subito su YouTube). Guardare i Cavs mi fa sentire come quando scorrevo le foto della mia ex, con la speranza che in quel momento mi telefonasse o magari che uscisse dallo schermo per dirmi “Sono ancora tua” (lo so, è un po’ patetico, ‘but don’t judge me’, è capitato a tutti prima o poi). Ma la mia ex mi ha lasciato da un pezzo e l’unico LOVE che vedo è Kevin che stasera ha il cuore più spezzato del mio.
Ed allora mi faccio per la quinta volta LA stessa domanda: ma quando entra LeBron? Sto ancora aspettando. Almeno una telefonata, che diamine. Ah, ma lui non ha il mio numero…la mia ex, invece sì.
Forse era meglio guardare la corazzata Kotiomkin stasera.