Da tre anni a questa parte ho sviluppato un’abitudine. Una delle mie tante. Dicono che la routine ci dia sicurezza. Il ripetere incessantemente una serie di azioni in un determinato tempo ci fa sentire al sicuro. Protetti. Einstein asseriva che “la follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi un risultato diverso”. Il punto è proprio questo. Personalmente -e credo di parlare a nome di tanti- assumendo gli stessi comportamenti NON mi aspetto un esito differente, tutt’altro. La quotidianità ci fa sentire il terreno sotto i piedi, ben saldi nel nostro essere, nel nostro esistere. Ognuno di noi possiede i suoi riti, le sue piccole fisse, le proprie, innocue, scaramanzie.
“Tornando a bomba”, parafrasando il mitico notaio di “…e fuori nevica”, da una manciata di anni, ho sviluppato -nella mia routine ‘da stadio’- una piccola mania: devo mangiare durante il riscaldamento. ‘Marenna’ casalinga o ‘da camioncino’, salutare o ‘zozzosa’ che sia, pollo da dieta o ‘purpett’ ‘ra zia’ (come le fa Zia Franca, nessuno! Dovrebbero essere dichiarate patrimonio dell’UNESCO) devo consumarle nel corso della sgambata pre-gara. Il rituale -non saprei se definirlo scaramantico o meno anche perché, paradossalmente, non è che ci abbia pensato più di tanto; è semplicemente una consuetudine maturatasi inconsciamente in questi anni- parte con un’iniziazione (la mia parte prediletta), una sorta di coreografia casuale entrata nel mio cuore perché unisce due delle mie passioni principali: il Napoli (non era difficile) e…Rocky!
Ebbene sì, sono un grandissimo fan della saga dello Stallone di Philadelphia. Se siete tifosi del Napoli e state leggendo ciò che sto scrivendo, probabilmente avrete già capito di cosa parlo. Mi riferisco all’ingresso in campo di Pepe Reina annunciato dallo speaker del San Paolo. In sottofondo, la musica di Rocky, la famosa “Training Montage” di Vince Dicola, storica colonna sonora del quarto capitolo della serie (il mio preferito, tra l’altro). Senza rendermene conto, mi sono affezionato a quel rito prepartita. L’entrata di Pepe con quella canzone, lo stadio che applaude, la ‘marenna di ‘mammà’…tessere di un puzzle personale, parole di una poesia romantica scritte su un foglio (volevo scrivere nero su bianco, ma ho evitato. Passatemi la battuta…).
Domenica scorsa ero allo stadio per vedere Napoli-Torino. Mentre mangio il panino, arriva il fatidico momento. Eccolo. L’ingresso, la pelata, il ‘25’ sulla maglia, la melodia in sottofondo. Mi guardo intorno. Lo stadio è gremito, la gente applaude, gli amici mangiano e sorridono. Sono felice. Rivolgo nuovamente lo sguardo al campo. Involontariamente, un pensiero grigio mi si fa largo in quel tripudio azzurro. “E se fosse l’ultima volta? Se fosse l’ultimo ingresso di Pepe con quella musica?”. Reina a fine stagione andrà via, destinazione Milano, sponda rossonera, e questo non è un segreto già da un po’. Eppure prima di quel momento non ci avevo mai pensato. Niente più rituale con Pepe. Sì, ci sarà un altro portiere. E la musica? Cambierà o sarà sempre quella? In teoria, mancherebbe ancora l’ultima partita casalinga con il Crotone, ma visto che –ahinoi, salvo un miracolo, anzi, più di un miracolo- i giochi saranno (sono) già fatti, nell’ultima partita potrebbe Sarri potrebbe dar spazio al vice Sepe. Giocatore affezionato alla maglia, che stimo e rispetto dai tempi di Empoli, ma il punto non è questo. Più che altro, rifletto sulla possibilità che non ci sia “un’ultima volta”.
Penso spesso alle “ultime volte”. In molte situazioni, ci pensi dopo, quando la cosa ormai è andata e ti rendi realmente conto che quella sì, è stata “l’ultima volta”che facevi o vivevi una cosa. Ma quando lo sai, quando purtroppo sei consapevole che quella è/sarà effettivamente l’ ULTIMA VOLTA, è ancora più brutto. Il pensiero di non vedere più Reina che entra sulle note che accompagnavano la preparazione sovietica di Rocky mi intristisce. E non poco.
Pepe per questa città è stato più di un portiere. È stato un leader, il capitano carismatico della nave azzurra. In questi anni, è stato l’anima della squadra, colui che è voluto tornare dopo l’anno di esilio dorato in Baviera, l’uomo che ci ha messo sempre la faccia per difendere Napoli e il Napoli, squadra e città. È diventato ormai napoletano a tutti gli effetti. Poi però quest’anno, come spesso accade, qualcosa è cambiato. Il mancato rinnovo, le avances del PSG di fine estate scorsa non raccolte dalla società, la sua permanenza rumorosa e quel silenzio assordante. Negli anni scorsi il portierone spagnolo alzava spesso la voce, faceva sentire la sua presenza. Nella stagione in corso, invece no. Glielo si leggeva in faccia. Il viso incupito, l’atteggiamento più serio, meno coinvolgente e trascinante. E poi le critiche al suo operato, a volte eccessive per quel che è stato -numeri alla mano- il suo rendimento. In diverse partite ha messo pezze importanti, lavorando sempre in silenzio, senza battere ciglio, da vero professionista.
La piazza azzurra è particolare, chi la vive lo sa bene. È un ambiente pronto ad esaltarsi oltremodo dopo una vittoria e a deprimersi miseramente post sconfitta. E l’altalena della stagione 2017-18 che volge al termine ne è una lapalissiana dimostrazione. Napoli, a volte, è una mamma troppo crudele verso i propri figli. Paolo Cannavaro sa di cosa parlo. Insigne uguale.
Pepe è stato il nostro Re…ina. Anzi, se togliete una ‘g’ alla parola ‘Regina’, curiosamente ottenete il suo cognome. Mi viene quasi da definirlo ‘Re’ e ‘Regina’ insieme, al di là del genere, semplicemente per aver amato la sua adorata Napoli come genitori con la propria creatura.
La storia d’amore tra lo spagnolo e il Napoli meritava un finale diverso, di quelli da libro Cuore, strappalacrime. Anzi, precisamente con lacrime di gioia, magari festeggiando un trofeo che manca a questa città da quasi trent’anni. Invece no, non è andata così. Ma si sa, non tutto finisce come deve finire.
Quando Napoli lascia qualcuno, non dimentica l’amore dato e quello ricevuto. E il tempo lo dimostrerà. Napoli non dimenticherà il suo Re…ina. Statene certi.
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“Riavvolgiamo il nastro. Ho finito il panino, sul campo entrano gli azzurri sotto le note di “Life is life”. Non so se sia stata l’ultima volta o meno. L’importante è stato godersi il momento. Comunque vada, oggi dobbiamo vincere. Avanti ragazzi!”