Quando lessi la data di nascita, mi prese un colpo. Il 21 marzo. Il mio stesso giorno, solo dieci anni prima. Lui nel 1980, io nel ’90. Ai miei occhi facilmente suggestionabili di bambino, tanto bastava. Pensavo fosse un segno del destino, che sarei diventato un calciatore come lui. Ah (sospiro), i sogni dei bambini.
Mi ricordo benissimo il giorno in cui me ne innamorai. Era una serata di mezza settimana di inizio marzo del 2005. Avevo quindici anni.
Quella sera eravamo a cena, a casa. Avevamo appena finito di mangiare. Stavo guardando la partita: ottavi di finale di Champions League. A Londra si stava giocando Chelsea-Barcellona. La davano su Rete4. All’epoca non c’erano le Pay TV e -ahinoi- le Champions sulla vecchia Mediaset, aveva tutto un altro fascino. Ad un certo punto, il numero dieci del Barcellona, raccolse la sfera al limite dell’area: si fermò di colpo, arrestandosi, con la palla tra i piedi. Una scena inusuale per un attaccante che si trova in prossimità dell’area di rigore. Non per lui.
Fu un istante lungo, interminabile, con il pubblico sugli spalti ed a casa, che si stava chiedendo cosa sarebbe successo. Come David Copperfield con la Statua della Libertà, quella sera, il brasiliano con i dentoni aveva deciso di stupirci. Una, due, tre finte. Una danza sul pallone che paralizzò il difensore del Chelsea Ricardo Carvalho che non sapeva bene cosa fare. Uno, due, tre e poi bum! Un colpo di punta che sorprese tutti, il pubblico sugli spalti ed a casa, e il povero portiere Cech. Avevo iniziato ad adorarlo già dopo il Mondiale 2002 e la punizione contro l’Inghilterra, ma la bellezza che consegnò quella sera al mondo del calcio, non ha prezzo. Basta dire “il goal di Ronaldinho al Chelsea” ed ogni appassionato si ricorderà di quella notte.
Perché la classe di Ronaldinho risiedeva nella grandezza delle sue giocate: meravigliose, incredibilmente difficili, ma tutte funzionali al gioco. Mai giocate fini a sé stesse o inutili per l’azione; erano tutte splendidamente efficaci. La classe e la fantasia che Dinho ha regalato al gioco sono state uniche. Stop da fantascienza, colpi di tacco smarcanti, passaggi di schiena e finte illeggibili alla velocità della luce. Tutto rigorosamente col sorriso sulle labbra.
Se il calcio è magia…beh, Ronaldinho è stato il più grande mago che questo gioco abbia mai avuto.